Il Primo sole – Prologo – Parte 2

PROLOGO – PARTE 2

Mentre sulla terraferma Ligorio riceveva l’agghiacciante notizia della morte di re Berniorn, l’harmakis continuava a sferzare l’aria nel cielo cupo, trascinando con sé l’ormai rassegnato Jeremis, che non aveva mai amato le altezze. «Ehi amico…mi farai scendere o hai intenzione di portarmi fino all’oceano??». Di tutta risposta il leone alato emise un suono profondo, gutturale, di disapprovazione. Jeremis rabbrividì. «E quello cos’era?…Non ci credo, sto parlando con un gattone alato…». Quasi come se avesse compreso le sue parole l’animale lasciò per un istante la presa della sacca, unico appiglio del giovane architetto, e dopo due secondi la riprese saldamente fra le sue possenti fauci.

Nell’illustrazione di Irene Patara, Karen (Barbara Berveglieri) mentre si appresta a creare una sfera di fuoco.

 

«Va bbb-bene – balbettò con una vocetta stridula, paralizzato dalla paura – me ne starò zitto». L’harmakis commentò con un secondo “sgrunt”, questa volta in segno di assenso. In pochi minuti l’harmakis, Jeremis e il frammento di Nexus avevano raggiunto la torre di guardia ovest di Akras, di fianco al Palazzo del Governo della città. E sulla torre c’era lui. Alexandre. Il condottiero più valoroso di tutte le quattro Terre, il braccio destro di re Berrniorn, il suo baluardo contro l’avanzata del “Cielo Oscuro”, l’ultima speranza per le Terre…e per Akras. L’harmakis spiegò le ali, rallentando il volo, come l’aquila quando si getta sulla preda…si diresse verso la torre e lasciò andare la sacca. Jeremis si ritrovò faccia a terra e dolorante, l’atterraggio non era stato dei migliori. Il giovane architetto incrociò lo sguardo con quello di Alexandre. Lo conosceva da anni ormai. E conosceva bene anche quella sua cicatrice sullo zigomo sinistro. Chissà perché, in quel momento sembrava quasi pulsare. Forse anche Alexandre aveva visto l’orrore, ad ovest della vallata. Lo aiutò a rialzarsi. «Tutta Akras ti è grata, Jeremis!»– Alexandre gli sorrise e strinse la sua mano vigorosamente. «Dovere, governatore – ha solo qualche anno più di me e ha già sulle spalle il destino di così tante genti, pensò Jermis – ma…Ligorio??». «Stai tranquillo, il tuo maestro sta tornando dentro le mura». Alexandre estrasse il contenuto dalla sacca e il suo viso si illuminò. Il Nexus aveva l’aspetto di una pietra vulcanica, simile all’ossidiana nera ma con venature violacee. «Speriamo che funzioni – rifletté Alexandre a voce alta – nessuna arma è stata mai forgiata con il Nexus fino ad ora…». «C’è sempre una prima volta…»: Alexandre e Jeremis si voltarono, la voce proveniva dalle scale che portavano al piano alto della torre. La figura che li stava raggiungendo era quella di una bella signora di mezza età, dal portamento nobile, gli occhi di un azzurro penetrante sembravano capaci di scandagliare le zone più nascoste dell’animo umano. Sulla testa portava l’acconciatura tipica delle Terre di Aidon, con la chioma avvolta in lembi di stoffa intrecciati. «Karen – la salutò Alexandre – nonostante Bromiorn stia arrivando, il nostro re ci ha inviato l’harmakis, forse fra pochi giorni sarà qui, poi…finalmente abbiamo il Nexus…pensi che funzionerà?». «Ne sono convinta, ma avremo infiniti problemi nelle prossime ore, sai bene che Bromiorn farà costruire torri di assalto, il suo esercito è numeroso e se gli uomini guidati da Rapsal non giungeranno veloci dalle Terre di Nestis, saremo in grado di resistere solo pochi giorni. Quanto all’harmakis, non riceviamo notizie di Berniorn da tempo, non puoi sapere se si sta avvicinando…Dobbiamo rafforzare le difese sui quattro ingressi della città e poi tu hai un’altra cosa a cui pensare ora…tua moglie sta partorendo». Il governatore di Akras sbiancò. «Ora? Come? Non era previsto…». «Un bambino può nascere prematuro, Alexandre. Tua moglie ha scelto di restare al tuo fianco nonostante la prospettiva dell’assedio, ora non puoi farle mancare la tua presenza». «Si certo…» mormorò commosso. Si precipitò dalle scale, ordinando bruscamente a Jeremis: «Porta la pietra al fabbro, sbrigati!», poi come un lampo sparì.

Jeremis rimase solo con Karen. La donna lo accompagnò fino all’officina del fabbro. Le strade della città, quasi sempre animate a quell’ora di pomeriggio, si trovano in quel momento terribilmente prese d’assalto dagli abitanti, impauriti e desiderosi di apprendere nel dettaglio cosa stava accadendo fuori le mura. Durante il tragitto il giovane raccontò a Karen la sua disavventura fino all’arrivo dell’harmakis. Quasi come se si fosse sentito chiamato in causa, ecco che il leone alato si ripresentava al fianco del giovane, davanti all’ingresso dell’officina. Karen non si meravigliò, anzi si avvicinò all’animale e con una certa disinvoltura gli passò la mano sulla folta criniera. L’animale pareva apprezzare ma continuava a tenere lo sguardo fisso su Jeremis.«Cos’hai da guardarmi, gattone?». «Perché non provi ad ascoltare con la mente – suggerì la donna – e forse capirai il messaggio che ti vuole trasmettere». Perché Karen deve sempre parlare così strano? – si chiese il giovane. In quel momento l’animale alzò la testa e poi la fece brevemente ondeggiare avanti e indietro. Fu allora che i due lo videro. Appeso al collo dell’harmakis c’era un oggetto, aveva la forma di un contenitore tubolare in ceramica. «Ecco cosa ti voleva comunicare, su, prendilo!».«M-ma è sotto quelle sue enormi fauci, non credo che…». «Su, sbrigati» tagliò corto Karen. Jeremis si avvicinò lentamente, allungò un po’ il braccio ma alla vista dei denti dell’animale si ritrasse. L’harmakis si lasciò sfuggire un “sgrunt” e Karen una tiepida risata. Al secondo tentativo Jeremis riuscì a sganciare il contenitore dai lacci che lo fermavano al collo del suo temibile e simpatico salvatore. «È un porta lettere – spiegò Karen – è sicuramente destinato ad Alexandre…sarà un messaggio di Berniorn! Cosa fai?? Inutile provare ad aprirlo! – il ragazzo stava palesemente armeggiando con l’oggetto per estrarne il contenuto – A quanto vedo è protetto dall’incantesimo di un archigeno, ha mescolato la terracotta con il sangue di coloro che devono utilizzare questo contenitore e che immagino siano Berniorn e Alexandre». Gli archigeni erano individui che avevano un diretto collegamento con uno dei quattro elementi naturali. Erano i discendenti di coloro che nell’età antica erano entrati in contatto con i frammenti del Nexus, quando ancora essi emanavano un’energia fortissima in grado di modificare il genoma delle persone e degli animali. Si diceva che il Nexus fosse una gigantesco dono degli dei piombato dal cielo e poi sgretolatosi in numerosi frammenti prima di schiantarsi sulla terra.  Karen, era una di loro, degli archigeni. «Bene, vado a consegnarl…», la donna lo fulminò con lo sguardo. «Si…giusto…il parto…» convenì il giovane. Jeremis fremeva dalla curiosità di conoscere il contenuto, forse si trattava di buone novità. Doveva consegnarlo al più presto ad Alexandre. Entrarono nell’officina e il fabbro appena vide la pietra si mise subito al lavoro per prepararne la fusione e il rivestimento delle armi. Fortuna che quell’aratro smuovendo il terreno ha portato alla luce la pietra – pensò Jeremis – poi quel vecchio e rimbambito agricoltore non l’aveva toccata per paura che gli trasmettesse chissà quali energie e aveva taciuto la notizia per alcuni mesi…in più non si ricordava neanche esattamente dove si trovasse il frammento. «Per tutti gli dei, come volavi!!»: la porta dell’officina si era spalancata e Ligorio con il suo passo pesante si dirigeva verso il suo allievo. I due si abbracciarono e Jeremis si beccò qualche piccolo schiaffo affettuoso sulle guance dal maestro. «Ligorio, ero così in pensiero…», «Mi sono lanciato a tutta velocità verso la porta di Tetravis che si è richiusa appena in tempo». «L’hai visto? Sei riuscito a vedere se fra gli strateghi c’è il marito di tua figlia?» chiese Jeremis. Il maestro sospirò: «No, ma temo che sia comunque fra i suoi ufficiali. Quell’uomo è sempre stato un debole…». Poi Ligorio prese da parte il giovane e si avvicinò al suo orecchio: «Uno degli strateghi mi ha detto qualcosa di inquietante…dice che il re è morto…Ma non voglio riferirlo ad Alexandre, non sappiamo se ha detto il vero e non sarò io a procurargli sconforto, proprio in questo momento». Karen, che era rimasta ad osservare il lavoro del fabbro, lanciò una severa occhiata ai due.

All’improvviso i tre compresero che qualcosa stava capitando fuori dall’officina, la gente sembrava impazzita e terrificata. Uscirono e fra il caos dilagante capirono che l’esercito di Bromiorn era giunto alle porte di Akras. Videro le guardie che si avvicinavano alle torri e salivano verso il camminamento alto. Ligorio e Karen individuarono Alexandre, circondato dai soldati, dai consiglieri  dai magistrati, e si precipitarono verso di lui. Il mastro architetto faceva parte del Consiglio dei 400 di Akras ed era una delle persone di cui il giovane governatore si fidava di più. Come li vide, Alexandre ordinò: «Ligorio, Karen…è giunto il momento, salite con me». Jeremis si sentì un po’ abbandonato dal maestro mentre lo vedeva salire sul torrione in compagnia di Alexandre e della signora dallo sguardo congelante.

Sotto le mura, gli uomini di Bromiorn apparivano schierati in lunghe fila, nei loro chitoni neri, i loro occhi inespressivi, sembravano vuoti. Ligorio pensò che anche i loro cuori dovevano esserlo. Erano stai macchiati e corrotti dal potere di Bromiorn. Fra quella distesa nera e uniforme soltanto un punto si distingueva e dal centro dello schieramento si stava facendo largo fino alla cinta muraria. Su un destriero dal manto corvino, avvolto nel suo mantello color oro, il Signore del Cielo Oscuro si stava preparando a parlare. Alexandre era lì, fiero, pronto ad ascoltare. Chi non lo conosceva avrebbe detto che nessuna parola, nessuna lancia, nessun incantesimo avrebbe mai potuto ferirlo, tanto il suo sguardo era intrepido e sicuro. Ligorio però, che lo aveva visto diventare il primo generale del re, aveva imparato a riconoscere la preoccupazione sul suo volto. «Alexandre, è da tempo che non ci vediamo. So che hai a cuore la salvezza della tua città, proprio per questo ti invito a fare la scelta giusta. Se Akras dichiarerà la sua resa, garantirò l’incolumità di tutti i suoi abitanti. Berniorn il traditore è morto, ora la tutela della quattro Terre spetta a me. Quale uomo metterebbe davanti alla sua città, alla sua famiglia, ai suoi concittadini i suoi stupidi ideali di lealtà e di libertà?». La sua voce grave, fredda, lapidea, risuonava in maniera perfetta anche se l’uomo aveva pronunciato quelle parole quasi in un sussurro. La parola “libertà” echeggiò ancora per qualche secondo. Poi il silenzio. Alexandre continuava a tenere gli occhi puntati sulla figura dorata. «Quale uomo?….- rispose il giovane, poi prese il fiato come per immergersi in acque profonde – Alexandre figlio di Kleandro!». Ligorio si avvicinò all’amico, in modo che dai piedi delle mura il Signore Oscuro lo potesse vedere. «E Ligorio figlio di Ezio!», gridò con tutta la voce che aveva. E senza esitare la signora di Aidon:«E Karen figlia di Sharmila!». «E Livio figlio di Yousseph». Ad uno ad uno gli uomini che stavano sul camminamento pronunciarono il loro nome, senza paura, con fermezza e risolutezza. Quando ebbero terminato, il Signore del Cielo Oscuro pronunciò la sua sentenza: «Pazzi…vi siete condannati da soli. Vi aspetta solo la sconfitta. Il sole, come potete vedere, ormai è tramontato…per sempre!». Il sole era il simbolo delle Terre di Iperio da quando Berniorn era salito al trono. Era l’immagine rappresentata sugli scudi dell’esercito reale. Anche su quello di Alexandre. «Chi fa la cosa giusta Bromiorn – rispose il giovane con la cicatrice sulla guancia – un giorno o l’altro avrà la sua vittoria. Questa è la sacrosanta verità, così come è vero che il sole ogni mattina sorge. L’hai oscurato ma non potrai mai distruggerlo!». Le ultime parole dell’eroe infiammarono gli animi dei suoi concittadini. Dal camminamento alto, alle torri, alle vie della città, si levarono scroscianti grida di sostegno al loro capo, i soldati sbattevano le lance contro gli scudi per intimidire il nemico, gli abitanti Akras si stavano già preparando alla battaglia. Poi Alexandre cominciò ad intonare un canto, una melodia antica del popolo di Chtonian, popolo di guerrieri, di agricoltori, di pensatori. Impareggiabili nella forza fisica come in quella d’animo. I loro inni erano diventati celebri in tutte le quattro Terre. Non c’era nessuno che non li avesse mai uditi almeno una volta. Tutti si unirono al canto. Tutta la città come un sol uomo.

Senza una luce, senza una via

Vago nell’oscurità

Senza speranza, senza una spada

Niente salvarmi potrà

 

Ma ho la mia volontà

 

Senza timore, senza viltà

Senza esitare ma con umiltà

Senza catene, se il sole cadrà

Si accenda la mia libertà

 

Ho la mia volontà

Acqua nel deserto

Ho la mia volontà

Terra nell’oceano

Ho la mia volontà

Sole dell’inverno

Ho la mia volontà

Aquila nel vento

 

Una luce si accenderà

Raggio di libertà

Il sole risorgerà

È la mia volontà

 

Il volto magro, scavato, di Bromiorn si irrigidì per un attimo. Karen intrecciò le mani e gesticolando produsse quella che aveva tutta l’aria di essere una sfera di fuoco. I soldati Bromiorn, compresi i quattro strateghi, contrassero il loro volto in una smorfia di orrore. Karen, ad eccezione di Bromiorn, era forse la più potente degli archigeni. Il Signore del Cielo Oscuro voltò il suo cavallo e si rivolse ai suoi uomini ordinando qualcosa di incomprensibile. L’assedio era cominciato.

Ligorio guardò oltre la minacciosa distesa di uomini. Ammirò i maestosi santuari fuori le mura di Akras, abbandonati alcuni giorni prima dai sacerdoti e dalle sacerdotesse che si erano rifugiati in città. E sperò con tutto il suo cuore che gli dei fossero dalla loro parte.

Nel Palazzo del Governo intanto un bambino veniva accarezzato dall’ultimo, sottile, impercettibile raggio di sole. Un bambino, un’unica speranza.


Eleonora Poltronieri

Grafica: Mattia Ferrari

 

 

 

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