Il primo sole – Capitolo II, Parte 2

IL PRIMO SOLE – CAPITOLO II – PARTE 2

Durante la cena Jacklin cercò di comportarsi esattamente come le era stato suggerito da Kalinda. E sorprendentemente ci stava riuscendo bene. Lei e suo padre erano seduti alla destra e alla sinistra di Nefer Kerenut. Le pareti del salone erano tappezzate di scudi che rappresentavano lo stemma di Eldyron: due lance incrociate con ai lati un gatto e un lupo. Fra una portata e l’altra, alla luce dei magnifici candelabri in bronzo che circondavano la sala, gruppi di danzatori e musici si alternavano per intrattenere gli ospiti. Origon aveva scelto i migliori artisti di Eldyron. Tuttavia Nefer, l’ospite d’onore, non sembrava apprezzare l’impegno largamente profuso da parte del Soprintendente. Appariva piuttosto distratto e pensieroso.

Nell’illustrazione di Irene Patara, Kalinda (Irene Patara) mentre nella biblioteca crea un vortice d’aria.

jacklin aveva notato che guardava spesso nella direzione di Neera. Ma lo sguardo dello Stratega non sembrava diretto a sua cugina, quanto alla porta di servizio che comunicava con le cucine, un vero e proprio crocevia di inservienti che uscivano e rientravano. Qualcosa lo rendeva irrequieto. Jacklin era riuscita a scambiare qualche parola con lui ma il loro dialogo si era concertato sostanzialmente sullo stile di vita e sul clima delle Terre di Iperio, dove la ragazza avrebbe dovuto trasferirsi dopo le nozze. Un aedo in mezzo alla sala intratteneva gli ospiti con storie di dei ed eroi. Poi…accadde l’imprevisto.

Uno sbigottimento generale piombò su tutti i banchettanti quando il cantore pronunciò quel nome…Uth. Nefer si alzò rapidamente in piedi, sbattendo i pungi sul tavolo. L’anziano aedo tacque. «Dovresti sapere, vecchio, che non è permesso cantare di colui che non deve essere nominato! – lo redarguì lo Stratega – prendi la tua cetra e vattene! Hai abusato dell’ospitalità del tu signore, vergognati!». Il povero aedo che per l’occasione si era imparato a memoria alcuni episodi della genealogia primordiale degli dei, era visibilmente scosso e quasi offeso dalla ferocia del giovane. Non esitò a fare fagotto e ad avviarsi verso l’uscita. Jacklin e Kalinda si scambiarono un’occhiata complice. L’atteggiamento di Nefer era stato oltremodo eccessivo ed arrogante. «Oh per tutti gli dei – sussurrò Kalinda all’orecchio della sua allieva – che noia questa cena…e che pesantezza il tuo futuro marito…qui manca proprio un tocco di leggerezza…» e sorrise. Jacklin aveva già capito: «Kalinda, cosa vuoi fare?». In quel momento dalle cucine stavano portando, a scopo dimostrativo, il “piatto”  che nelle cucina era già stato cotto e che avrebbe dovuto essere la portata principale della serata: un magnifico esemplare di airone color cenere manifestava la sua irrequietezza sbattendo convulsamente le ali dentro ad una gabbia. «Sta a guardare…» le disse Kalinda. L’archigena si assicurò che lo Stratega fosse impegnato a parlare con Origon. Poi mosse l’indice della mano sinistra come per formare un piccolo vortice. Una brezza leggera, quasi impercettibile, si fece largo fra i commensali. Ma quando giunse alla gabbia dell’airone i ganci che serravano lo sportello principale saltarono per aria e in men che non si dica l’animale saltò fuori aprendo le ampie ali e svolazzando confusamente qua e là. Origon se la prese subito con i servitori e si scusò profondamente con gli ospiti che nel frattempo cercavano di mettersi al risparo dai piccoli disastri che l’uccello stava combinando sulle loro ben imbandite tavole. «Insomma, qualcuno lo prenda!» continuava a sbofonchiare il Soprintendente mentre si metteva lui stesso all’inseguimento dell’airone starnazzante. Kalinda rideva di gusto mentre Jacklin si costrinse a nascondere il proprio divertimento. Quella scenetta aveva fortunatamente ovviato alla monotonia della serata. 

Una volta che il cuoco, come un novello eroe, entrò in scena, catturando finalmente l’airone, gli invitati poterono fare ritorno ai propri posti e alle chiacchere. Le tavole furono pulite e risistemate. Jacklin notò però che Nefer continuava ad essere molto teso. Trascorso qualche minuto, capì il perché. Dalle cucine provenivano rumori che non annunciavano nulla di buono. Il giovane in batter d’occhio fu nuovamente in piedi. «Uscite immediatamente tutti dal salone!» tuonò ai presenti. Fra gli invitati cominciò a diffondersi il panico. Nell’istante successivo una figura faceva la sua comparsa ai festeggiamenti. Una ragazza mascherata, munita di arco, avanzava minacciosamente verso i tavoli. Origon si mise a cercare le guardie ma non c’era traccia di esse. «Le tue guardie sono fuori gioco, Soprintendente. I miei uomini si sono occupati di loro»  lo informò la ragazza con estrema freddezza. Era la prima volta che Jacklin vedeva una ribelle. Notò subito dal colore della carnagione che era nestidiana. Ad Eldyron molti servitori erano di origine nestidiana ma non aveva mai visto nessuno di loro impugnare armi. Jacklin e Kalinda non si erano ancora mosse. Per qualche oscura ragione i loro piedi stavano incollati al pavimento. «È un piacere incontrarti di nuovo, Shamra – lo Stratega si rivolse alla ribelle – avrei ancora più piacere però di conoscere tuo padre, il grande Rhapsal… – fece risuonare una leggera risata carica d’ironia – perché non viene a sfidarmi di persona?». «Perché forse – ribattè la ragazza senza esitare – dopotutto non sei così importante, Nefer. Prima vengono le migliaia di persone che hanno bisogno di trovare in noi una speranza. E di liberarsi dalla tirannia di Bromiorn. Mi dispiace Stratega, ma tu sei troppo pericoloso…ho l’ordine di ucciderti». Con la rapidità del vento Shamra prese una freccia alla faretra, la incoccò e tese l’arco…la freccia volò verso lo stratega. Jacklin non attese neanche un secondo. Sapeva cosa doveva fare. E lo fece con la massima naturalezza. La freccia si fermò improvvisamente per aria, a metà strada fra i due contendenti. E poi cadde a terra. Nefer si voltò verso Jacklin e vide la ragazza con la mano protesa. «Ma cosa…? Sei un’archigena!». Jacklin lesse il disprezzo nei suoi occhi. Poi l’attenzione di Nefer tornò sulla ribelle. Anche lei era stata colta di sorpresa. Lo stratega estrasse istintivamente da una tasca un pugnale dalla forma stretta e allungata. Lo lanciò verso la nestidiana senza nemmeno aver preso la mira e l’arma si conficcò nella spalla sinistra della giovane. Shamra gridò. In quel momento si sentì qualcuno parlare in nestidiano. Dal portone d’ingresso si affacciarono due uomini barbati. Appena si resero conto delle condizioni della ragazza, la soccorsero e la aiutarono ad uscire rapidamente dal salone. La ribelle, seppur dolorante, continuava ad imprecare contro Nefer, alternando frasi in iperiano e in nestidiano: «Ci rivedremo presto Stratega! La prossima volta nessuna archigenia ti salverà!». Sotto gli occhi di tutti fuggì, sorretta dai due compagni. Lo Stratega non li seguì. Origon, affiancato da qualche servo sprezzante del pericolo, aveva assistito a tutta la scena, inerme e incredulo. Tutto era accaduto nel giro di pochi secondi. «Ma dove sono tutte le guardie?» domandò. «Hanno ricevuto una razione di cibo e dell’acqua prima del turno di guardia?» chiese Nefer. «Certo, come tutti i giorni». «Allora le tue guardie, Origon, dormiranno fino a domattina. I ribelli le hanno drogate». «E nessuno si è accorto di nulla – il Sovrintendente scosse la testa – eravamo tutti qui…». Kalinda si allontanò per richiamare gli ospiti che nel frattempo erano fuggiti verso gli alloggi della servitù.

Jacklin si sentì quasi sollevata quando vide la ribelle sfuggire alle grinfie del presuntuoso Stratega. Non aveva mai visto una donna combattere con tanta fierezza. Semplicemente, non aveva mai visto una donna combattere. «Origon tua figlia è un’archigena e tu me l’hai tenuto nascosto!». «Sono desolato, mio signore…- ammise il padrone di casa – Jacklin sa che non deve mostrare le sue capacità in pubblico ma quando ha visto la tua vita in pericolo…». «Pericolo? Pensavate forse che mi sarei preso quella freccia? Voi ignorate chiaramente le mie abilità…E comunque, tornando a tua figlia, Origon, non intendo sposarla. Non voglio una moglie archigena, può essere pericolosa e imprevedibile – poi aggiunse risistemandosi il mantello che si era scomposto sulle spalle – non ho intenzione però di venir meno alla mia parola, onorerò il nostro accordo sposando vostra nipote Neera». Origon era basito ma impotente. «Come preferisci, Stratega». Suo padre e Nefer parlavano come se lei, Jacklin, non fosse lì presente. «Ora ascoltami bene Soprintendente – continuò il giovane – è necessario che tu tenga tua figlia costantemente sotto controllo e ti assicuri che non metta mai piede fuori della tua tenuta. È una minaccia. La sua archigenia è fra le più terribili: l’elemento terra, il controllo dei metalli…considera questo come un ordine del Signore del Cielo Oscuro in persona». Origon non osava contraddire il braccio destro del suo Re. Jacklin era convinta di avere le allucinazioni. Nessuno aveva chiesto il suo parere. In una manciata di secondi la sua vita era cambiata. Di nuovo. Senza aspettare l’ordine di suo padre, si avviò di fretta, senza una parola, al piano superiore. E si chiuse nella sua stanza. Quella che da sempre era stata la sua casa, la sua fortezza, di lì a poco sarebbe diventata la sua prigione. Un carcere a vita. Punita per aver salvato una vita. Punita per essere nata diversa. E la sua diversità non era dovuta all’archigenia…no. Era diversa perché pensava sempre alla cosa più giusta da fare, non a quella più utile. Era diversa perché sognava ad occhi aperti, voleva conoscere nuovi mondi, faceva amicizia con gli stranieri, partecipava alle feste dei servi nestidiani di Eldyron. Ovviamente, di nascosto a suo padre. Ora capiva però che esisteva un netto divario fra lei e quella vita che l’aveva per troppo tempo trattenuta al di fuori del mondo reale. Qualcosa non andava. E non andava da sempre. È come se dei lacci l’avessero sempre legata. Paradossalmente, ora che quei lacci diventavano catene, Jacklin sentiva che sarebbe volata via. Qualcuno bussò alla porta. Era Kalinda. Jacklin, ancora in confusione e con gli occhi umidi, le raccontò quanto appena successo nel salone di ricevimento. «Cara non disperare, troveremo una soluzione. Quell’uomo, il mastino di Bromiorn, non l’avrà vinta. Ora però mi devi ascoltare. Ho qualcosa che ti solleverà il morale… – si vedeva che Kalinda non stava più nella pelle – una lettera da parte di tua madre. La scrisse poco tempo prima di lasciarci. Mi fece promettere di consegnartela soltanto il giorno del tuo venticinquesimo compleanno». Jacklin non attese neanche un secondo. La aprì con l’avidità dell’indigente che vede un oasi nel deserto.

Carissima figlia

scrivo questa lettera nella 2650° primavera dalla nascita del Primo Sole Uth. Quando la leggerai io non ci sarò più. Sono molto malata e il nostro medico, anche se non lo vuole ammettere, è convinto che non potrò vedere la prossima primavera. Spero tu sia diventata una donna forte e determinata. Ho deciso di scriverti perché conosco il tuo animo indomito e ribelle. E purtroppo anche il mondo che ti circonda. Sono preoccupata per il tuo futuro. Il mondo in cui vivi non è più quello di una volta. Le storie che ti hanno sempre raccontato non corrispondono alla verità. Quando io ero bambina tutto era diverso. Le Quattro Terre veneravano il padre di tutti gli dei, il dio del disco solare, Uth. Sul trono sedeva Re Berniorn, il gemello di Bromiorn. Era un re saggio, dall’animo buono e altruista. Il sole era il suo simbolo e la gente credeva che egli stesso fosse l’incarnazione del dio Uth. Quando le Terre di Chtonian e quelle di Nestis entrarono in conflitto per il possesso della città di Tabath, i quattro popoli si trovarono sull’orlo di una vera e propria guerra. Gli archigeni più potenti avevano trovato il modo di amplificare i loro poteri utilizzando i 4 più grandi frammenti di Nexus. Il mondo stava per scomparire in una spirale di lotte fraticide. Berniorn decise così di sottrarre alle Terre i frammenti di Nexus. Ma il gemello Bromiorn lo accusò di furto e si propose come “pacificatore” delle Quattrp Terre. Egli aveva ereditato enormi poteri dalla madre, l’archigena più potente che la storia ricordi. Portò la pace, si…ma a modo suo, seminando morte e distruzione. A quell’epoca tuo padre si fece lusingare dalle promesse di Bromiorn e divenne uno dei suoi più profondi sostenitori. Mio padre invece, tuo nonno Ligorio, si schierò dalla parte di chi vedeva ancora in Berniorn il legittimo re. Ma dopo la sconfitta della sua città, Akras, fu costretto a servire il Signore del Cielo Oscuro. Come suo architetto, costruì anche questo palazzo. Bromiorn mutò il nome della capitale, Tetravis che significa “la forza dei quattro” in Barkvis, “la forza del fulmine”. Il suo potere si accresceva sempre di più. Era evidente che aveva utilizzato i frammenti delle 4 pietre per ingigantirlo. Già i suoi messaggeri annunciavano la morte di Berniorn mentre sulle Quattro Terre piombava l’oscurità, il cielo si riempiva di nuvole e il sole veniva nascosto. Bromiorn dichiarò che nessun uomo l’avrebbe più visto perché esso era simbolo del tradimento e la sua luce avrebbe portato aridità e desertificato le Terre. Ma la verità è che da allora la vegetazione non è più così verde e rigogliosa come un tempo.  

Tuo padre seguiva Bromiorn in tutte le sue spedizioni, in tutti i suoi terribili rastrellamenti. Da uno di essi egli tornò a casa con un dono per me. Tu, mio cara Jacklin. Origon ti trovò fra le macerie di una città data alle fiamme e ti salvò dalla furia della distruzione portandoti da me. Non essere in collera con Kalinda. Lei è a conoscenza della verità ma le ho fatto giurare di mantenere il segreto fino al giorno in cui ti consegnerà questa lettera. È l’amica più fidata che ho. Non portare rancore verso tuo padre. Si è lasciato consumare dall’ambizione ma, credimi, è un uomo buono e ti vuole bene. Quanto a me…spero che un giorno potrai perdonarmi. Sei il dono più bello che la vita mi ha fatto. Proprio per questo spero di poterti essere utile…a distanza di così tanti anni. Spero che tu viva felice, in una bella casa, con un buon marito, o forse in giro per le Terre, insieme a chi come te possiede un dono e lo utilizza pe fare del bene. Ma se così non fosse…se tutto il tuo universo dovesse crollare in una voragine e il palazzo di tuo padre dovesse diventare una prigione…ricordati che c’è sempre una via d’uscita. Nella nostra canzone, quella che ti canto ora prima di vedere i tuoi occhi color nocciola che si chiudono, appesantiti dal sonno…ecco, proprio fra i versi di questa canzone puoi trovare la libertà. Per il resto…Kalinda saprà cosa fare e da chi andare. Affidati a lei.

Ti abbraccio forte e, nonostante la mia malattia, questo è un giorno fortunato perché ti abbraccerò due volte.

Tua madre

Leah

Jacklin aveva letto tutto d’un fiato. Quante cose erano capitate in una sola giornata. Ma inspiegabilmente quell’ultima era forse l’unica cosa ad avere un senso in tutta la sua vita. Fece leggere la lettera anche a Kalinda.

Ecco perché si era sempre sentita diversa…fuori posto. Come se le mancasse una parte di sé stessa.

«Ora so cosa dobbiamo fare – disse la sua insegnate – Dobbiamo fuggire nelle Terre di Aidon. Nella città di Hannara vive una persona che io e tua madre conoscevamo bene. È un’anziana archigena che ha combattuto la guerra dei Re Gemelli. Il suo nome è Karen. Lei ci darà protezione e sono sicura potrà trovare risposte anche a tutte le tue domande sulle tue origini. È una veggente». Jacklin riprese la lettera con la mano tremolante. Ma non era quello il momento di tentennare. «D’accordo. Ma come facciamo ad uscire dal palazzo? Con Nefer Kerenut nei paraggi poi…». Kalinda aggrottò la fronte e strizzò i grandi occhi, come faceva sempre quando si concentrava. «La canzone che ti cantava tua madre…te la ricordi? Ti andrebbe di farmela sentire…». Nonostante Jacklin non capisse esattamente dove l’archigena volesse arrivar, si mise comunque a cantare:

 

Cerca in quel mondo dove sta la tua libertà

Là, sotto il mandorlo che per sempre fiorirà

C’è sempre una via d’uscita, qualcuno ti sta aspettando

C’è sempre una via d’uscita, là fuori c’è un altro mondo

Pensa alla storia del re senza identità

Quella è la chiave del regno che ti apparterrà

E quando sarai nell’ombra, laggiù troverai speranza

Nel simbolo della forza si trova la tua salvezza

Gatto, gatto, gatto, lupo

Lupo, gatto, gatto

C’è una sola via d’uscita in questo labirinto

 

«Il mondo dove sta la tua libertà…di cosa si può trattare? Forse il giardino dove ti piaceva spesso correre da bambina? Lì c’era un mandorlo…». «Esiste ancora – si ricordò Jacklin – ma non ha senso…nella canzone si parla di un mandorlo che fiorisce sempre…è simbolo dell’eternità…». Poi Kalinda spalancò gli occhi e la bocca, come estasiata: «Che mi venga un colpo! Ma quale simbolo!! Leah sei sempre stata un maledettissimo genio!! Jacklin è tutto chiaro! La canzone è una mappa per uscire da questo palazzo…tuo nonno deve avere costruito un passaggio che tua madre avrebbe potuto utilizzare se le cose si fossero messe male a palazzo e – si soffermò abbondantemente su quella vocale – ho capito dove si trova il mandorlo! Seguimi!». Uscirono dalla stanza, assicurandosi di non essere viste, o peggio, seguite. Jacklin era sicura di avere la febbre. Si sentiva bruciare e temeva di piombare da un momento all’altro in uno stato di incoscienza. Si riprese un po’ quando misero piede in biblioteca. Tutto le fu più chiaro. La biblioteca era il luogo più bello di tutto il palazzo. Nell’atrio imponente, coperto da un soffitto a cupola, suo padre aveva raccolto le opere scultoree più raffinate di tutte le Terre di Chtonian. Gli scaffali erano immensi. Interamente sommersi da rotoli. La biblioteca era un dono di Origon a sua moglie. Era il luogo dove lei si considerava veramente libera. Kalinda indicò a Jacklin un punto, sopra uno degli scaffali più bassi. Le pareti della biblioteca erano tutte affrescate con motivi vegetali e animali, appartenenti a tutte le specie a delle Quattro Terre. Sopra quello scaffale era rappresentato un mandorlo in fiore. «Pensi che dietro quello scaffale…è così pesante…» cominciò Jacklin. «Ora, fai un passo indietro mia cara, e lascia fare a me!». L’archigena diede forma ad un vortice di notevoli dimensioni. Inevitabilmente alcuni rotoli volarono a terra. Poi lo indirizzò verso lo scaffale. Il vortice si era come trasformato in una potentissima onda d’urto. Jacklin sentì un rumore sordo. Prima che potesse accorgersi di quanto stesse accadendo, lo scaffale si era spostato. Insegnante e allieva poterono riconoscere sulla parete i contorni di una strettissima porta in legno, annerita dal tempo.

Eleonora Poltronieri

Grafica: Mattia Ferrari

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *