CAPITOLO II – PARTE 1
La porta del salone si aprì con un cigolio che tradiva una certa apprensione da parte di chi stava entrando. Il cuore di Origon sussultò. Bene – pensò – Bromiorn tiene particolarmente a questo accordo. Se dovesse andare storto qualcosa…lei dovrà pagarne le conseguenze. «Signore – la guardia era entrata richiudendo frettolosamente il portone – lo Stratega è qui. È in anticipo ma…vostra figlia non è ancora tornata!». Origon sospirò, alzando gli occhi al cielo. Il ginocchio destro cominciò a dolergli. Era quello il sintomo inequivocabile che le cose non sarebbero andate per il verso giusto. Si trattava di una vecchia ferita di guerra che lo rendeva visibilmente claudicante. Origon però aveva preso l’abitudine di considerarla una buona compagna di vita. «Dì al maestro di corte di darsi una mossa – ordinò cominciando a gesticolare ansiosamente – convoca i miei fratelli, le loro figlie e tutti gli ospiti. Ci tengo ad impressionare il nuovo stratega con una festa che non dimenticherà. E…cerca mia figlia! Assicurati che si prepari a dovere e non ritardi!».
Nell’illustrazione di Irene Patara, Jacklin mentre osserva il bracciale a forma di serpente sacro, simbolo di Chtonian.
La guardia fece un cenno di assenso e si dileguò fuori dalla sala. Origon si strofinava nervosamente le mani. Il suo ruolo di Sovrintendente delle Terre di Chtonian gli garantiva un rapporto privilegiato con Bromiorn. Ma questo nuovo accordo avrebbe sancito un legame ancor più stretto con il Signore del Cielo Oscuro. Nefer Kerenut, originario delle Terre di Iperio e neoeletto Stratega di Chtonian, nonché designato da Re Bromiorn come suo successore, avrebbe sposato sua figlia Jacklin entro un paio di settimane. Tutto era già stato pianificato da alcuni mesi. Quella sera stessa, durante i festeggiamenti per il compleanno di Jacklin, i due si sarebbero conosciuti. Origon sperava soltanto che sua figlia non rovinasse tutto, come aveva sempre fatto. Non era la prima volta che provava a trovarle marito ma la ragazza, con le sue stranezze, trovava sempre il modo per mandare all’aria ogni suo tentativo. Jacklin aveva ormai 25 primavere e, se anche questo accordo si fosse rivelato un buco nell’acqua, Origon l’avrebbe spedita senza esitare nelle Terre di Aidon, presso i sacerdoti e gli archigeni. Quello è il suo posto – era solito ripetere fra sé e sé – fra quella gente che vive con la testa per aria…I suoi pensieri vennero interrotti dall’arrivo della servitù che cominciò ad allestire il salone per la cena ed i festeggiamenti. Avevano già fatto il loro ingresso anche i suoi fratelli con le rispettive figlie. Origon notò che una di esse, Neera, era di una bellezza folgorante. Indossava un abito blu cobalto con ricami d’oro e una stola di lino di color azzurro tenue con figure zoomorfiche ispirate alla moda di Iperio. Al collo portava una splendida collana di lapislazzuli che facevano sembrare ancor più chiari i lunghi capelli biondo cenere raccolti in molteplici trecce. Origon non fece in tempo ad accogliere i parenti che la porta del salone si spalancò di nuovo. Un brivido gli corse lungo la schiena. Un uomo entrò con passo sicuro e con un incedere che annunciava una certa altezzosità. Il Soprintendente, scuotendo amaramente la testa, apostrofò sé stesso: Come al solito il tuo tempismo è impeccabile Origon…il salone non è ancora pronto…che bella figura che farai… «Mio caro Nefer – si diresse verso l’ospite cercando di mettere da parte il nervosismo – benvenuto ad Eldyron. Spero che il viaggio non sia stato troppo pesante. Perdona la mia servitù…i preparativi per la cena come vedi non sono ancora ultimati. Ti faccio le mie congratulazioni per la tua recente nomina. Sei il più giovane dei quattro Strateghi ma a quanto mi dicono anche il più forte. Bromiorn non poteva scegliere un successore più qualificato!», aveva parlato tutto d’un fiato. Una cascata di elogi in cui Origon cercava di annegare il suo imbarazzo. Nefer Kerenut scrutò il suo interlocutore per qualche secondo. Quel giovane dai capelli corvini e dagli occhi gelidi lo metteva a disagio. Lo intimidiva. «Ti ringrazio – rispose Nefer con gentilezza ma con tono autoritario – sarò lieto di prendere la mano di tua figlia. Sono qui anche per un’altra ragione però – fece una pausa – mi è stato riferito che ad Eldyron, nei sotterranei del tuo palazzo, sono custodite le armi di Nexus appartenute ad Alexandre durante la Guerra dei Re Gemelli. So che Bromiorn dopo la guerra ordinò che venisse costruito un luogo idoneo ad ospitarle. Vorrei vederle con i miei occhi se possibile». Origon non sapeva cosa rispondere. Era una richiesta o un’imposizione? Era stato il Re a rivelargli l’esistenza delle armi? E per quale motivo? «Certo. Sarò lieto di mostrartele domani mattina». Gli occhi di Nefer brillavano di avidità. «A proposito – il giovane si ricordò di una cosa – i Ribelli hanno intenzione di entrare ad Eldyron, nella tua tenuta, Origon. Varcheranno le mura di cinta». «Cosa??… – erano già troppe emozioni in una sola giornata per lo sventurato padrone di casa – chi ti ha dato questa informazione? Le guardie non mi hanno riferito nulla…». «Alcuni tuoi uomini sono conniventi con i Ribelli. Ne ho la certezza perché…anch’io ho le mie risorse – Nefer sorrise maliziosamente – cercheranno di farmi fuori durante la mia permanenza ad Eldyron». «Ma allora – Origon cominciò a sbraitare poi si ricordò dei parenti, in fondo alla sala, avevano tutti gli occhi puntati sul giovane Stratega che se ne stava composto ed impassibile, abbassò la voce – allora dobbiamo sospendere i festeggiamenti e prendere provvedimenti…». «No, niente di tutto ciò – rispose con fermezza il giovane – me ne occuperò io personalmente. Conosco le loro strategie e la loro etica. Non faranno del male ai presenti, cercheranno soltanto di togliermi di mezzo – e poi ingiunse – ti chiedo la cortesia di non intrometterti e di far conto che io non ti abbia mai riferito di questo possibile attacco. Voglio discrezione e non accetto intrusioni. Sarò in grado di occuparmi di questa faccenda io stesso». Origon fece un cenno di assenso, con rassegnazione: «Come desideri Stratega…ora, se hai piacere vorrei presentarti i miei fratelli e…». Di nuovo lo stridore metallico della porta d’ingresso. Questa volta il Sovrintendente avvertì una vera e propria fitta al ginocchio. Non osava voltarsi verso la porta. Qualcosa gli diceva che non sarebbe stata una piacevole visione.
Sulla soglia del salone ora stava una ragazza con i capelli in parte raccolti e in parte ricadenti confusamente sulle spalle. Non indossava un abito da ricevimento ma un semplice chitone costellato qua e là di macchie scure. La cosa che fece ancor più inorridire il povero Origon furono le braghe di chiara fattura nestidiana. Nelle Terre di Chtonian soltanto gli uomini le indossavano ed esclusivamente nell’ambito di gare sportive. Origon non trovava le parole per presentare sua figlia in quello stato al suo futuro marito nonché sovrano delle Quattro Terre. Quel giorno ne stava accadendo una peggio dell’altra. Jacklin dal canto suo capì troppo tardi di aver fatto il suo ingresso nel momento meno opportuno. Nefer intercettò lo sguardo allarmato fra padre e figlia. «È questa tua figlia, Origon?». Il Sovrintendente era titubante. «Si Signore – rispose timidamente Jacklin, entrando nel salone – sono io». Era la prima volta che vedeva Nefer Kernut. Notò che indossava il gonnello tradizionale di Iperio, il collare, bracciali in oro e un mantello rosso che copriva parzialmente il torso nudo. Le cuginette non avevano occhi che per lui. Prima fra tutte, Neera. «Ma Jacklin cosa ti è successo?? Perché sei vestita in questo modo?» domandò suo padre, sebbene conoscesse già ampiamente la risposta. «Sono appena tornata dalla… – Jacklin esitò – …Zodromia». E qui il malcapitato Sovrintendente si coprì il volto con le mani. Era disperato. «Una donna – osservò Nefer esaminando severamente la ragazza – che pratica le Zodromia…». «Non una donna qualsiasi!»: il giovane era stato interrotto da una voce squillante ma allo stesso tempo suadente. Una cascata di capelli biondi entrò nel salone. Una donna di mezza età, vestita sobriamente ma con un tocco di eleganza e originalità, aveva seguito Jacklin e ora le stringeva le spalle con tenerezza ed entusiasmo. Poi i suoi occhi si posarono sul cavaliere dallo sguardo tenebroso. «Oh che piacere conoscerti Nefer…la fama che ti precede non ti rende adeguatamente giustizia; devo dire che sembri ancor più bello di quanto dicono», ridacchio avvicinandosi allo Stratega, tastò brevemente i bicipiti. Nefer si scostò, stizzito. «E questa donna chi è, Origon?». Rispose Jacklin: «È la mia insegnante di arch…». «Di architettura e arte, mio signore – la interruppe la donna dai capelli biondi – mi chiamo Kalinda, sono nata nelle Terre di Aidon. Lascia che ti spieghi la faccenda della Zodromia – Jacklin tirò un respiro di sollievo, Kalinda sapeva sempre come salvare la situazione – Per uno sposo della tua levatura, caro Nefer, serve una moglie che sappia stare al passo con i tempi e che possa essere alla tua altezza. Ecco perché la nostra Jacklin ha scelto di provare la Zodromia…per non figurare ai tuoi occhi come una sposa debole e fiacca, dedita soltanto agli affari domestici». Nefer posò di nuovo lo sguardo su Jacklin, perplesso. Origon giudicò che l’intervento di Jacklin e Kalinda in quella sala stesse andando troppo per le lunghe: «Bene, mie care, andate a prepararvi per la cena. Io mostrerò al nostro illustre ospite il palazzo». Il giovane, che teneva ancora gli occhi fissi sulle due donne, con sospetto, si decise a seguire il padrone di casa. «Bene – convenne – conoscerò molto volentieri i tuoi fratelli e le tue nipoti», pronunciò le ultime parole accennando un discreto sorriso a Neera che con le altre cugine si era già avvicinata al luogo della conversazione. Anche lei rispose, con un fresco e disinvolto sorriso, sbattendo amabilmente le lunghe ciglia. Jacklin e Kalinda chinarono il capo in segno di riverenza e uscirono mestamente dal salone di ricevimento. Ormai i preparativi per la festa erano quasi ultimati. E quella porta, almeno per un po’ non si sarebbe più aperta, lasciando ad Origon qualche minuto di tregua.
Il cuore di Jacklin invece non trovava pace. Era incerto e preoccupato. Mentre lei e Kalinda salivano le scale per il piano superiore, Jacklin non faceva che ripensare alla vergognosa figura appena fatta con Nefer Kerenut. Suo padre non gliel’avrebbe mai perdonata. Ciò che le destava più preoccupazione non era tanto la sua passione ormai svelata per la Zodromia, quanto il fatto che era apparsa al neoeletto Stratega in tutta la sua goffaggine. Aveva parlato a monosillabi. Si era resa ridicola e si sentiva inadeguata…Ma a volte dietro l’inadeguatezza si cela qualcos’altro. Jacklin si chiedeva quale fosse il suo destino. O meglio. Chiedeva al suo cuore che cosa desiderasse realmente. Non era semplice rispondere. E comunque non c’era più tempo…doveva pensare ad altro. «Perché prima hai mentito? – chiese a Kalinda mentre l’aiutava ad indossare un lungo abito verde scuro con i bordi in cuoio – perché non vuoi che lui sappia che sei la mia insegnante di archigenia?». Kalinda rispose dolcemente, sistemandole sul braccio un gioiello a spirale, a forma di serpente, intarsiato con quarzo rosa: «Mia cara, lo sai che le donne archigene non godono di ottima reputazione. Gli uomini pensano che non siamo in grado di utilizzare correttamente il nostro dono e che lo sfruttiamo per imporre la nostra volontà su di loro. Tu poi, che sei archigena della terra e stai imparando a controllare i metalli, potresti destare ancora più sospetto in un uomo che ha scelto come scopo della propria vita il mestiere delle armi». «Ma forse – replicò Jacklin – potrei, anzi essergli utile…potrebbe tenermi in maggior considerazione. Potrei affiancarlo nelle spedizioni e…». «Non correre col pensiero, cara, hai visto tu stessa come ha reagito alla notizia che tu pratichi la Zodromia. Per il momento dovremo tenerglielo nascosto» sentenziò. Kalinda era un’archigena dell’aria e, benché non governasse l’elemento terra, aveva insegnato a Jacklin tutto quello che sapeva sull’archigenia e sul controllo degli elementi. Aveva cominciato ad istruirla da quando aveva 8 anni. Era stata convocata a palazzo da Leah, madre di Jacklin nonché sua migliore amica. Da allora aveva sempre mantenuto fede alla propria promessa di seguire e accudire la figlia del Soprintendente Origon, anche dopo la morte di sua moglie. L’affetto per Leah e Jacklin non le avrebbe mai permesso di venir meno all’impegno preso. Soprattutto considerando il fatto che Origon non riusciva ad accettare i poteri archigeni della figlia. Kalinda sapeva che dopo le nozze con lo Stratega, avrebbe dovuto separarsi da Jacklin. La sua figlioccia sarebbe partita per una terra straniera assieme ad un uomo che non avrebbe mai potuto apprezzarla. Questo la rattristava. Si sentiva in dovere però di darle buoni consigli: «Questa sera dovrai saggiare il terreno, cerca di essere gentile con Nefer, mostrati sicura e non avventurarti in discorsi compromettenti…se vuoi sei un’ottima attrice, fai conto di essere Neera». Jacklin sbuffò. Fingere. Fingere “per finta” si, lo sapeva fare. Recitare in una commedia teatrale non le sarebbe stato difficile. Ma lì non si trattava di stare sulla scena…nella realtà, era tutta un’altra cosa. I suoi occhi si posarono sul bracciale a forma di serpente. Il serpente era il simbolo di Chtonian, lo indossava spesso. Era l’animale associato al suo elemento, la terra. Era la forma terrena del dio primordiale Ypsar, compagno di Tuya e padre di Kleion. Nella sua spirale Jacklin leggeva l’eterno ritorno ma anche l’evoluzione, il cambiamento. Cambiare…Si, forse era ora di cambiare.
Eleonora Poltronieri