CAPITOLO I – PARTE 3
Appena varcata la porta di Barkvis, Benjamin salutò fugacemente Silver e si diresse verso casa. Lasciò il suo bagaglio con gli effetti personali e la spada e si avviò con una certa fretta verso il tempio di Tuja, presso le mura nord della città. Era uno dei templi maggiori perchèTuja era la dea madre, colei che aveva dato alla luce Kleion. Suo padre, Jeremis, aveva ricevuto l’incarico dai Consiglieri di Akras di ricostruirne il tetto. Anche sua madre, Febe, si trovava sul cantiere. Febe assisteva spesso Jeremis nel suo lavoro, affiancandolo anche nelle fasi del disegno e della progettazione. Era una donna versatile, dotata di grandi capacità. Benjamin ne era molto orgoglioso. Appena la folta chioma del figlio fece capolino all’ingresso del recinto sacro, Febe abbandonò all’istante i pesanti secchi che stava portando presso le impalcature, scese dalla scalinata del tempio a passo affrettato ma con discrezione, come era suo solito.
Nell’illustrazione di Irene Patara, Jeremis (Stefano Marchesini) mentre consegna a Benjamin il porta-lettere
La sua figura minuta ed elegante si avvicinò al figlio. Sembrava tranquilla ma Ben riusciva ad intuire molto facilmente la sua irrequietezza. Voleva conoscere i risultati delle gare di Enneas. E Benjamin non esitò a darle quello che desiderava. «Mamma, sono ufficialmente un soldato dell’esercito di Iperio». Febe lo abbracciò mentre stava ancoraparlando. Lo guardò prima con ammirazione, poi con preoccupazione. C’era un’ombra nei suoi occhi. Sembrava inquietudine. O rammarico. «Dunque ora puoi finalmente tagliarti la treccia delle giovinezza e farne dono a Kleion – sorrise con orgoglio – Ora hai 25 primavere e per di più sei un soldato. Sei un uomo ormai, figlio mio, e ti attende un grande destino». Ben prese fra le mani la lunga e sottilissima treccia. Tutti i giovani la conservavano dal dodicesimo al venticinquesimo anno di vita, poi la tagliavano e la consacravano a Kleion come simbolo del cambiamento, del passaggio all’età adulta. «Eh si, dovrò proprio tagliarla – sospirò – mamma devo assolutamente parlare con papà…Ad Enneas…mi sono capitate alcune cose…forse lui può aiutarmi». Febe cominciò vistosamente a preoccuparsi ma con il solito temperamento composto ed equilibrato gli rispose di pazientare per qualche ora. Al calar del sole, dopo il lavoro, ne avrebbero discusso a cena. Insieme. Ben avrebbe preferito però parlare solo con suo padre, sua madre prendeva le cose un po’ troppo di petto, non sapeva quale reazione avrebbero potuto suscitare le sue parole nell’animo acceso e sempre ansioso di lei.
Alla sera, a tavola, Jeremis e Febe ascoltarono con molto interesse i resoconti del figlio sulle prove, sul rapimento dei commissari da parte dei ribelli, sui numerosi ostacoli che aveva dovuto superare durante le gare e sui risultati inattesi. Poi una volta concluso il racconto ufficiale, uscì tutta la verità. Per Benjamin fu una vera e propria liberazione. Si aspettava che i genitori reagissero con maggior sorpresa. Mentre Ben parlava Jeremis sembrava invece quasi bloccato, inebetito. Febe continuava a sistemarsi nervosamente i capelli e ad alternare profondi respiri. Ben non fece mistero della confusione che aveva in testa. Quando la sua bocca fu pressoché asciutta e la narrazione fu terminata, tutti e tre tacquero per lunghi istanti. Poi Febe prese la parola: «Penso sia giunto il momento…», fissò con determinazione il marito. Jeremis aveva ancora tutto il dolce di miele e di fichi nel piatto. Da quando Ben aveva raccontato la storia del raggio improvviso nel cielo e della ragazza mascherata, non aveva più toccato cibo. «Febe io non credo che…». «È la cosa giusta – la moglie lo fulminò con lo sguardo – Sono anni che dimentichiamo di fare la cosa giusta». Ben stava cominciando a preoccuparsi. «Ben – cominciò sua madre – i Ribelli, così come la gente delle Terre di Nestis sono sicuramente persone sovversive, che cercano di far piombare le nostre Terre nel caos ma…». Ben sentiva che la verità stava emergendo, come una clessidra che ormai sta contando gli ultimi granelli di sabbia e aspetta soltanto di essere ribaltata. Come le acque di un fiume dal corso lungo e tortuoso che, giunte alla foce, si gettano precipitosamente nel tanto agognato mare aperto. «Quello che ti ha raccontato la ribelle è vero – riprese Febe – re Bromiorn non è affatto il sovrano che le nuove generazioni credono. Da quando ha preso il potere nella vecchia capitale, Tetravis, tutto è cambiato. A quell’epoca, 25 primavere fa, non abbiamo avuto scelta…Tutte le Quattro Terre hanno dovuto piegarsi al suo volere. Dopo aver spietatamente eliminato chiunque o qualunque città si opponesse al suo governo, ha cominciato a tenerci in pugno con minacce indirette, velate. Temevamo per i nostri figli. Già a quel tempo, con i suoi poteri di archigeno, egli era in grado di causare terremoti, incendiare intere città, scatenare terribili uragani, trasformare in cenere le nostre case…e così è stato in parte anche per la nostra città…». Ben era senza parole, i suoi sospetti erano fondati. Tutti. «C-come è possibile? – balbettò – a scuola ci hanno insegnato che il gemello di Bromiorn, Berniorn, aveva rubato le quattro pietre di Nexus dalle Quattro Terre, per questo motivo Bromiorn l’aveva spodestato e aveva preso il trono». Febe fissò intensamente Jeremis, in maniera quasi indispettita, come per suggerirgli “adesso dì qualcosa tu”. Jeremis, a malincuore, si convinse. «Vedi, non è del tutto vero…questa è la voce che lo stesso Bromiorn fece circolare all’epoca. Noi tutti sapevamo però che Berniorn aveva fatto segretamente portare le 4 pietre ad Iperio perché le Terre erano sull’orlo di una guerra. Le pietre, anche se antichissime, avrebbero forse potuto trasmettere ulteriori poteri agli archigeni. I popoli si sarebbero annientati a vicenda. Il re aveva a cuore la pace e la serenità di tutte le Quattro Terre. Il nostro sospetto…mio, di tua madre, e anche del mio maestro Ligorio, che tu hai conosciuto…-esitò per qualche istante – è quello che il Signore del Cielo Oscuro, dopo aver ucciso il gemello, abbia restituito alle Terre soltanto delle copie delle 4 pietre di e abbia utilizzato i frammenti originali di Nexus per accrescere il proprio potere». Ben pensò che aveva avuto ragione nel credere che il suo mondo fosse finto. Si, lo era sempre stato. Una menzogna. Un sogno che si stava trasformando in incubo. «Ma a parte i Ribelli – domandò – nessuno ha mai cercato di cambiare la situazione? Se si unissero tutti gli archigeni delle Quattro Terre…». «Figlio mio – lo interruppe Febe, scrutando il suo volto attonito e rispondendogli con tenerezza – l’animo umano è spesso impuro e corruttibile. Molti archigeni hanno scelto di schierarsi dalla parte di Bromiorn perché persuasi dall’oro e accecati dall’ambizione di potere…». «Dunque niente può fermarlo? – insistette il giovane – dobbiamo continuare a vivere in questo mondo che è frutto di ingiustizia? Nessun’arma può scalfirlo?». Benjamin stava abbassando lo sguardo, quando vide qualcosa negli occhi del padre. Un ricordo forse…doloroso. Ma anche una speranza. «C’è qualcosa vero?», Ben si animò. Jeremis stava per rispondere ma Febe lo anticipò: «No, niente lo può fermare». Dopo una rapida occhiata ad entrambi, Ben ebbe la certezza che stavano mentendo. «Ben, purtroppo non posso dirti dove si trovano quelle armi – continuò suo padre, mentre Febe si stava già mordendo le lebbra, sapeva che il marito non sarebbe mai riuscito a tenerlo per sé – significherebbe metterti in pericolo. Io, Ligorio e tua madre siamo gli unici a conoscere l’esistenza di quelle armi. Io e Ligorio, dopo la Guerra dei Re gemelli, e dopo che il Signore del Cielo Oscuro prese il potere, progettammo il luogo dove sono tutt’ora custodite, su ordine di Bromiorn stesso. Ligorio poi non aveva scelta, sua figlia era sposata con il braccio destro di Bromiorn. Se si fosse rifiutato di collaborare, avrebbe potuto accaderle qualcosa». Fu dirompente come un fulmine. Subito saltò alla mente di Benjamin un ricordo della sua infanzia. Suo padre e Ligorio che discutevano sul progetto di un grande palazzo. E dei suoi sotterranei. E Ben non aveva dubbi che suo padre ne avesse conservata una copia nel suo studio. «Direi che può bastare» intervenne Febe. «Ma se voi avete visto queste armi, significa che qualcuno deve averle impugnate, forse… – eccola, dentro di lui maturava una consapevolezza – …Alexandre». Quel nome sembrava aver riportato suo padre indietro di 25 anni. I suoi occhi si erano illuminati.
Jeremis prese allora a raccontare di quelle fatidiche giornate, dell’assedio di Akras, del volo appeso all’harmakis, di come Alexandre avesse fatto forgiare uno scudo e una spada da un frammento di Nexus. Non mancò di sottolineare con una punta di compiacimento il suo ruolo e quello di Ligorio durante l’assedio. Descrisse tutte le fasi, dal raduno delle truppe di Bromiorn sotto le mura, alla costruzione di torri d’assedio da parte dei nemici con i materiali prelevati empiamente dalla necropoli, a come Karen l’archigena fosse riuscita a bruciare un paio di esse durante la costruzione. Ben ascoltava, rapito dal devastante realismo con cui il padre gli riportava ogni minimo dettaglio. Qualcosa si ruppe dentro di lui quando Ben apprese di come Alexandre fosse stato ucciso e di come la città fosse caduta. All’alba del quinto giorno di assedio, quando uno scudo e una spada erano già state rivestite con il Nexus, uno dei Consiglieri di Akras, Iktinus, corrotto da Bromiorn, aveva aperto un passaggio nascosto in una torre di guardia sul lato orientale delle mura e aveva guidato gli uomini del Signore del Cielo Oscuro dentro la città. I soldati avevano cominciato a dar fuoco alle abitazioni, agli edifici, trucidando le guardie e chiunque si opponesse al loro passaggio. Iktinus si era poi diretto da Alexandre. Il giovane governatore stava imbracciando le potenti armi appena forgiate quando il traditore lo pugnalò allo stomaco e fuggì. Sebbene gravemente ferito, Alexandre non rinunciò a scendere sul campo di battaglia. Si trovò faccia a faccia con Bromiorn. La spada e lo scudo di Alexandre, rivestiti con il Nexus, potevano respingere qualsiasi archigenia. Bromiorn aveva creato una palla di fuoco e l’aveva scagliata contro il giovane. Alexandre l’aveva respinta ma dalla ferita all’addome continuava a scorrere molto sangue. Per quanto l’abilità di Alexandre con la spada fosse quasi ineguagliabile, il giovane non ebbe il tempo di confrontarsi direttamente con il Signore del Cielo Oscuro. La ferita mortale, e non solo quella inflitta al corpo ma anche quella procurata all’animo con il tradimento, lo misero in ginocchio. Così morì Alexandre, lottando fino all’ultimo respiro per i suoi ideali e la sua città. Bromiorn aveva poi risparmiato i cittadini che non avevano opposto resistenza, aveva graziato Ligorio con la sua squadra di architetti perché le sue competenze in campo architettonico e urbanistico avrebbero fatto comodo al nuovo governo. Aveva ordinato di far ricostruire tutti gli edifici distrutti. «Ormai è notte fonda –fece notare Febe – sono ore che parliamo, penso che Benjamin debba riposare, anche se immagino non sarà per niente facile addormentarsi dopo tutto quello che ha appreso oggi». Ben sentiva però che c’era dell’altro. Non tutta la verità era emersa. Prese coraggio, mise da parte l’insicurezza. Doveva andare fino in fondo. «Non mi avete detto tutto vero? Non vado a dormire finché non esce tutta la verità!». Sua madre ora sembrava profondamente turbata. Trascorsero alcuni secondi. A Ben parvero macigni. «Aspetta qui – suo padre si alzò dalla tavola, con gli occhi umidi – c’è qualcosa che devi vedere». Uscì dalla sala e rientro dopo qualche istante con un cilindro di terracotta nelle mani. «Questo porta-lettere apparteneva ad Alexandre. Contiene un messaggio da parte di re Berniorn. Alexandre lo lesse il primo giorno di assedio. Non conosco il suo contenuto, io non posso aprirlo. Ma so con certezza che procurò ad Alexandre molte lacrime ma anche felicità. E speranza. Credo…che questo oggetto ti spetti di diritto perché…». La voce gli si spezzò. Una gentile brezza diradò l’ultimo strato di nubi che invadevano la mente di Ben. «…perché io sono figlio di Alexandre» concluse Benjamin.
Eleonora Poltronieri